Che cos’è la vitamina d?
Con il termine vitamina D ci si può riferire a due principali forme:
- ergocalciferolo (Vitamina D2)
- colecalciferolo (vitamina D3)
La vitamina D2 viene prodotta dai lieviti e dalle piante, mentre la vitamina D3 viene prodotta dall’uomo e dagli animali grazie all’esposizione alla luce solare.
Dalla vitamina D2 e dalla vitamina D3 deriva la 1,25-diidrossi vitamina D (1,25-OH D), che è la forma metabolicamente attiva nell’organismo.
La vitamina D è un micronutriente dalle caratteristiche del tutto peculiari: infatti, la copertura dei suoi fabbisogni metabolici può essere indipendente dalla dieta. Di fatto, alle latitudini temperate e per una normale esposizione al sole in media l’80% della vitamina D resa disponibile all’organismo proviene dalla sua sintesi cutanea e solo il 20% dagli alimenti. In aggiunta, poiché la 1,25(OH)2D esercita i suoi effetti metabolici attraverso meccanismi di tipo endocrino e paracrino, il suo complessivo ruolo metabolico è tale da farla considerare, almeno in parte, simile a un ormone.
La storia della vitamina D ha inizio nel 1919 quando venne evidenziato da Huldschinsky che bambini affetti da rachitismo guarivano se esposti alla luce del sole; più tardi un risultato simile fu ottenuto da Hess e Gutman con la luce solare. Nello stesso periodo venne ipotizzato da Mc Collum la presenza di un composto liposolubile essenziale per il metabolismo osseo nell’olio di fegato di pesce.
Quindi, la sintesi endogena della vitamina D è legata all’esposizione della cute alle radiazioni ultraviolette B (ultraviolet B, UVB), con lunghezza d’onda 290-315 nm, che convertono il 7-DHC, presente nelle cellule dell’epidermide, in previtamina D3. Quest’ultima si trasforma rapidamente in vitamina D3, per un processo d’isomerizzazione termica temperatura-dipendente.
La sintesi della forma vitaminica attiva richiede ulteriori modifiche della molecola. Una prima trasformazione interessa la quota della vitamina D (dagli alimenti o da sintesi endogena) che, una volta captata dal fegato, diviene substrato per un enzima che catalizza l’idrossilazione C25 generando la 25-idrossi vitamina D (25(OH)D), una molecola non ancora biologicamente attiva. Successivamente, a seconda della necessità, la 25(OH)D è ulteriormente convertita nel rene nella forma attiva 1,25(OH)2D. La sintesi renale della 1,25(OH)2D è finemente regolata da due ormoni con effetti antagonisti: il paratormone (PTH), prodotto dalle paratiroidi, e il fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23), prodotto dagli osteociti. Il PTH aumenta la sintesi della 1,25(OH)2D mentre il FGF23 la riduce.
Ruolo nutrizionale della vitamina D
La vitamina D esercita una duplice funzione, endocrina e paracrina: svolge attività endocrina nel mantenere l’equilibrio tra Ca (calcio) e il P (fosforo) e la mineralizzazione dell’osso, mentre come citochina essa è potenzialmente coinvolta nel funzionamento di molti altri tessuti.
La prima funzione della 1,25(OH)2D è quella di regolare il metabolismo di Ca e P, e di controllare le loro concentrazioni ematiche; in tal modo sono preservate le condizioni di base necessarie per la mineralizzazione della matrice ossea.
A livello intestinale la 1,25(OH)2D aumenta in modo marcato l’assorbimento del Ca e del P, mentre nel tessuto osseo favorisce la differenziazione dei monociti in osteoclasti e incrementa di conseguenza il riassorbimento del minerale osseo e la liberazione di Ca.
La 1,25(OH)2D è altresì importante per il corretto trofismo dell’apparato muscolare: essa non solo stimola la sintesi di proteine muscolari, ma partecipa anche all’attivazione di alcuni meccanismi di trasporto del Ca a livello del reticolo sarcoplasmatico che sono essenziali per la contrazione muscolare.
L’interesse per gli effetti extra-ossei della vitamina D è giustificato dal fatto che numerosi studi hanno documentato la capacità di sintesi della 1,25(OH)2D e la presenza nel VDR nelle cellule di differenti tessuti, ad esempio nei macrofagi, nell’endotelio e in organi quali prostata, mammella, colon, pancreas ecc. Questa sintesi localizzata non contribuisce all’omeostasi del Ca, ma sembra essere coinvolta nella regolazione paracrina delle funzioni cellulari. Molte delle evidenze sperimentali al riguardo, inizialmente tratte da ricerche su modelli cellulari o animali, hanno poi trovato conferma in studi di natura osservazionale o sperimentale.
Ai fini della prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari, aspetto che ha ricevuto di recente un grande interesse, è emersa la capacità del sistema vitamina D-VDR di modulare l’attività di alcuni sistemi endocrini, a cominciare dal sistema insulina-glucagone e dal sistema renina-angiotensina. In particolare, il sistema vitamina D-VDR regola la biosintesi e il rilascio di insulina da parte delle cellule insulari pancreatiche e influenza significativamente la sensibilità dei tessuti periferici all’ insulina stessa.
Alla 1,25(0H)2D, come dimostrato in primo luogo in studi su modelli cellulari, sono riconosciuti anche potenziali effetti anticarcinogenetici da imputare a meccanismi quali: stimolo della risposta immunitaria, inibizione enzimatica, modulazione dei fattori di crescita, promozione dei meccanismi pro-apoptosi (con inibizione dei geni anti-apoptosi e aumento dell’espressione dei geni pro-apoptosi), inibizione dei meccanismi di carcinogenesi prostaglandino-dipendenti, inibizione dell’angiogenesi, riduzione dell’invasione locale e della metastatizzazione del tumore, induzione dell’autofagia; aumento dell’attività antiossidante e di riparazione del DNA, regolazione della propagazione del segnale indotto da androgeni ed estrogeni.
Per quanto interessa la risposta immunitaria, l’azione della 1,25(OH)2D è stata associata con un aumento dell’immunità innata nei confronti di differenti infezioni, in particolare la tubercolosi, l’influenza e le infezioni virali delle prime vie respiratorie.
Fabbisogno giornaliero di vitamina D
Il fabbisogno giornaliero di vitamina D indicato in assenza di fattori di rischio è di norma di 400 unità al giorno ma può variare a seconda dell’età. Le dosi possono variare e arrivare fino a 1.000 unità al giorno in presenza di fattori di rischio o deficit.
Carenza di vitamina D: cause
Diversi sono i fattori in grado di influenzare la sintesi di 25(OH)D alcuni legati alle caratteristiche dell’individuo come sesso e fototipo, altri ambientali come attività fisica, eccesso ponderale, tempo di esposizione alla luce solare, latitudine, stagione, inquinamento, uso di filtri solari e consumo di supplementi. In aggiunta, nel corso dell’invecchiamento i meccanismi di sintesi della vitamina D da parte dell’epidermide diventano progressivamente meno efficienti. Anche patologie da malassorbimento (celiachia, morbo di Crohn, fibrosi cistica e rettocolite ulcerosa), patologie del fegato o dei reni, e l’uso di alcuni farmaci (ad es. corticosteroidi e anticonvulsivanti) possono contribuire o essere causa diretta della carenza.
In sintesi, il deficit di vitamina D è determinato nella maggior parte dei casi da una ridotta esposizione alla luce del sole e/o da un diminuito assorbimento e/o da un insufficiente apporto con la dieta. La carenza della vitamina D viene identificata sulla base della concentrazione sierica di 25(OH)D e dipende quindi dal livello soglia scelto, prevalentemente indicato in 20 pg/mL (50 pmol/L.). I dati della letteratura nel merito si riferiscono alle diverse fasce della popolazione così come a specifiche condizioni fisio-patologiche: in generale si osserva un’elevata prevalenza di stati carenziali sia in età adulta che in età evolutiva. In Italia essi sono frequenti specialmente in età geriatrica e durante l’inverno.
Come valutare i livelli di vitamina D
Lo stato nutrizionale della vitamina D è valutato attraverso un test diagnostico che permette di determinare la concentrazione sierica della 25(OH)D, una molecola con emivita di 2-3 settimane.
Non è invece considerata utile la determinazione nel sangue della 1,25(OH)2D per una serie di ragioni quali:
- l’emivita molto breve (poche ore)
- i livelli ematici dalle 100 alle 1000 volte inferiori a quelle della 25(OH)D e il fatto che questi ultimi possono rimanere nella normalità anche in presenza di carenza vitaminica protratta, a causa di un aumento compensatorio del PTH.
Si considerano quindi indicativi di uno stato di nutrizione adeguato i livelli sierici di 25(OH)D che si associano a una ridotta sintesi di PTH, minimizzando quindi il riassorbimento osseo e la perdita di Ca. In tal modo essi garantiscono l’integrità anatomica e funzionale dell’apparato scheletrico e un fisiologico metabolismo dell’osso.
Fonti alimentari
Un alimento particolarmente ricco di vitamina D è l’olio di fegato di merluzzo (210 g/100 g), ma di norma esso viene consumato solo come supplemento; contengono discrete quantità di vitamina D i pesci, specialmente quelli grassi come l’aringa, il tonno fresco e il salmone in scatola (rispettivamente 30, 16 e 17 g/100 g).
Tra le carni quantità apprezzabili si ritrovano solo nel fegato di suino (1,7 g/100 g).
Il burro ha un contenuto che non supera 1 ug/100 g e i formaggi grassi come il pecorino arrivano a circa 0,5 ug/100 g.
Le uova intere di gallina ne contengono mediamente 1,7 g/100 g (solo nel tuorlo).
Molti paesi arricchiscono alcuni alimenti di uso comune (ad es. latte e margarine) con la vitamina D, poiché le condizioni ambientali (scarsità di luce solare durante l’inverno) sono particolarmente sfavorevoli per la sua sintesi endogena. Da alcuni anni sono presenti anche in Italia prodotti lattiero-caseari arricchiti, in concentrazioni variabili, con vitamina D e Ca.
Livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana.
Cosa possiamo fare quindi?
Prima di tutto come anticipato è di fondamentale importanza valutare il dosaggio dei livelli sierici di Vitamina D per vedere se è presente una carenza, quindi posso modificare la dieta ed eventualmente andare anche ad integrare. È sempre consigliato rivolgersi ad uno specialista per intraprendere un percorso nutrizionale adeguato.
Fonti
LARN: Livelli di assunzione di riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana IV Revisione